Queste foto fanno parte di un piccolo reportage di due giorni nel cuore dell’Italia nelle regioni del Molise e dell’Abruzzo, in particolare le città di Isernia, Santo Stefano di Sessiano, zona Campo Imperatore e il Rifugio di Racollo. Scorci di un’Italia passata e di un futuro molto incerto, che con fatica e tenacia tentano di resistere alle conseguenze dello spopolamento, la crisi economica e il terremoto del 2009 e del 2016.
Sono numerose le difficoltà, che un paese di montagna arroccato a 1.250 m, come Santo Stefano di Sessiano sta incontrando a distanza di 10 anni dagli eventi sismici del 2009, non mi rende assolutamente tranquillo e riflette un un’immagine di quello che potrebbe essere nel lungo periodo le zone dei Monti Sibillini, senza una forte presa di posizione da parte delle istituzioni che dovrebbero contribuire a gestire la vera ricostruzione.
Santo Stefano di Sassanio è un borgo medioevale fortificato tra le montagne dell’Abruzzo all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Lega. L’attuale configurazione urbana del borgo si costituisce in pieno Medievo, quando si sviluppa il fenomeno dell’incastellamento: un paesaggio caratterizzato da abitanti d’altura, circondati da un perimetro murario fortificato che resta ancor oggi uno degli elementi storico-topografici maggiormente caratterizzanti del paesaggio italiano. Le invasive urbanizzazioni del secolo appena trascorso e ristrutturazioni poco attente ai patrimoni originari hanno compromesso quasi ovunque l’integrità tra territorio e costruito storico. Paradossalmente, tale integrità si è conservata residualmente in alcuni borghi della montagna appenninica proprio a causa del loro spopolamento, nel più generale contesto di depauperamento del meridione e del centro Italia, con conseguente abbandono della montagna ed immigrazione delle sue genti verso la pianura e la costa.
Un esempio da esportare e da prendere come modello, sarebbe l’Albergo diffuso Sextantio a Santo Stefano di Sessanio, progetto di recupero e ridestinazione ricettiva che ha introdotto inedite procedure per conservare l’integrità di questo borgo storico e del paesaggio circostante mediante specifici accordi con gli enti territoriali locali. L’obbiettivo finale è che, almeno in questo caso, la ridestinazione turistica non comporti inevitabilmente perdita di quelle che sono le identità territoriali del luogo. Il progetto nella sua parte privata prevede la conservazione delle destinazioni d’uso dell’originaria organizzazione domestica, l’occultamento degli impianti e della tecnologia, l’uso esclusivo di materiale architettonico di recupero, l’uso esclusivo dell’arredamento povero della montagna abruzzese. Questo approccio di tutela si spinge fino alla conservazione di quelle tracce del vissuto, e del vissuto povero passato, sedimentare negli intonaci e nelle stratificazioni del costruito, per preservare, nei egni di sofferenza del tempo, l’anima più profonda e autentica di questi luoghi.
Il progetto prevede la riproposizione di alcuni aspetti della culture del territorio, a livello gastronomico, con l’acquisizione dei territori limitrofi per una produzione diretta delle forniture alimentari, il restauro di una storica cantina. Successivamente si procederà al rilevamento delle varietà colturali, delle produzioni alimentari dei piatti locali per una fedele riproposizione, in popolazioni sempre al limite della sussistenza. Per quanto riguarda l’artigianato domestico, sono rimasto colpito dall‘Azienda Agrozootecnica Daniani Ovidio e dalla piccola bottega AquiLana di Valeria, che da anni produce splendidi maglioni e altri manufatti di lana realizzati a mano, con materiale riutilizzato dalla tosatura delle pecore della sua azienda e del marito, che purtroppo oramai non ha più valore economico, come un tempo.
Solo laddove la povertà ha determinato l’abbandono integrale degli abitanti si sono eccezionalmente conservate quelle caratteristiche di integrità storica architettonica e paesaggistica di questi territori, la cui tutela potrebbe essere la premessa di nuove qualificanti ridestinazioni e nuove opportunità lavorative, che penso siano le basi per un ripopolamento minimo di una comunità e la speranza di un futuro per queste zone.
Un piccolo esempio da cui poter ripartire, sopratutto nelle nostre zone dell’entroterra maceratese e delle altre regioni montane devastate dagli eventi sismici dello scorso anno, che a quasi un anno di distanza non vedono ancora la luce, senza una minima programmazione economica e sociale, di zone simbolo e culla della nostra ancora incontaminata Italia.